Day #14 - Pause
Nei primi giorni di avvicinamento a Goodwood per la partenza, il mio amico Stefano – compagno di viaggio di quei primi cinque giorni - dopo aver capito quale sarebbe stato il ritmo che deve portarci all’arrivo ha detto, non senza ragione: “Non ce la farei. Non riesco più a pensare di dover viaggiare per arrivare, piuttosto che viaggiare per vivere i luoghi”.
È vero, ma non fino in fondo. Il Mongol Rally non è un viaggio, non è una vacanza. E’ arrivare. Sono tanti arrivare consecutivi. E’ arrivare però vivendo in una situazione in cui succedono cose. Cose strane. Cose belle. Cose problematiche. Sei in un gruppo in cui senti forte l’appartenza e la solidarietà, e incroci compagni di avventure nelle strade più inattese.
Sei in una situazione in cui la gente riconosce che stai facendo qualcosa di strano e questo facilita il contatto (quante volte avete viaggiato in un posto, parlando con gente del luogo solo per chiedere informazioni?), e la beneficenza diventa non solo un motivo ma anche una forte apertura verso chiunque si relazioni con te. A volte sei tu che "fai succedere cose".
Ma arriviamo agli ultimi due giorni.
La macchina è andata per (almeno) 2/3 dei chilometri fatti finora con soli 3 cilindri. Ognuno dei quattro meccanici da cui siamo andati finora ci ha spiegato che il precedente aveva fatto una regolazione sbagliata e che da quel momento in poi potevamo andare senza problemi fino alla fine. In tutti i casi non è mai stato per più di 600km. L’ultimo – a Tabriz - l’abbiamo supplicato di non limitarsi a regolare ma di sostituire il pezzo, ma non ha voluto ascoltarci. Avevamo purtroppo ragione: a Teheran eravamo punto a capo, per di più in un giorno pre festivo. Abbiamo quindi proseguito fino ad Esfahan.
Tirare così tanto a tre cilindri, con una velocità di punta di 10-15km/h in meno (se il tuo massimo è 100, non sono pochi..), con diverse soste mattutine da meccanici che ci hanno fatto partire nel pomeriggio e non la mattina presto, ha stressato la macchina e noi. Stanca lei ad ogni arrivo, stanchi noi.
Abbiamo passato diversi giorni a rincorrerci. Rincorrere una tabella, rincorrere il tempo di vivere un’ora in più in qualche luogo e fingendo di non accumulare stanchezza. Non è quello che succede anche nelle nostre vite normali, quando impegni obblighi promesse ci vietano di fermarci? E proprio come nella normalità, qualcosa ti blocca quando non vorresti. L’ultimo meccanico ha preso la macchina venerdì e ce la darà domenica, lasciandoci un giorno in più del previsto qui ad Esfahan.
Siamo quindi finalmente riusciti, grazie a Paola (presentataci da Ilaria Non si dice piacere - "La moda passa, lo stile resta") a vivere per un po’ una città. Ad annusarne l’identità. Quel tanto che basta per ricaricare un po’ le pile nel riad dell’albergo, nel prendersi il tempo di fare una passeggiata nel bazar senza la fretta di dover ri-arrivare da un’altra parte. Il conto sarà che dovremo correre ancora di più, ma speriamo con una macchina a posto una volta per tutte.
La giornata finisce in un ristorante, dove casualmente siamo seduti vicino a due italiani. Noi pronti a tirare fuori i nostri 20.000km ma – dilettanti - ci precede Sebastiano Coco on the Road - Giro del mondo in moto, che al classico come mai qui, dove andate, ci risponde “faccio il giro del mondo in moto, ho iniziato 14 giorni fa”. Ha deciso di riprendersi il suo tempo. Di quello che un atto di coraggio del genere dà alla propria vita, ne scriveremo un’altra volta. Intanto, chapeau.